Una delle più grandi correnti filosofiche della storia umana, quella delle “idee” platoniche, partiva dal presupposto che tutte le cose esistenti, mutano perpetuamente in un processo febbrile di perfettibilità, eternamente incompiuto, poiché solo le idee in quanto tali sono realmente perfette e fisse nell’Iperuranio, ove la componente tempo non le trasforma e non le muta.
A distanza di secoli Michelangelo scrisse:
«Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circoscriva
col suo soverchio, e solo a quello arriva
la mano ch’obbedisce all’intelletto »
In codesti versi si racchiudevano le motivazioni del suo ormai noto concetto di “non-finito”. Il genio di Michelangelo riversò nei blocchi di marmo, che già contenevano ogni idea, perfetta in una maniera che una mano non potrebbe esprimere, se non nel processo del suo divenire materiale, quel neoplatonismo che non era meramente pessimista, ma che anzi a mio parere poteva già definirsi “futurista”.
Quando Marcel Duchamp si avvicinò alla pittura, inconsapevolmente ripercorse l’inquietudine interiore di Michelangelo e approdò quasi al medesimo concetto di “non-finito”, esprimendolo però con la consapevolezza che le opere fossero “cose”, in tremenda e perenne trasformazione, anche accidentale. Egli scrisse, parlando del Futurismo, che esso era stato “l’impressionismo del mondo meccanico” e aggiungeva:
“A me interessavano le idee, non soltanto i prodotti visivi”.
Fu questo il momento - secondo me - in cui il vero futurismo, inteso in una accezione puramente ideologica e filosofica, trovò la sua consacrazione: ossia la coscienza che le opere, ispirate alle idee, tuttavia si intrappolano in forme di materia, per cui possono essere considerate delle “cose”, nel senso immediato del termine, e in quanto tali restano alla perpetua mercé del tempo, eternamente incompiute a causa di determinate variabili.
Ed è incompiuto che Duchamp lasciò, nel 1923, “Il Grande Vetro” , un’opera che contiene tutta la sua arte passata e futura e che è stata definita la più affascinante, complessa e incline a moltitudine di interpretazioni, di tutta la storia d’arte contemporanea. Emblematico un episodio: durante un trasporto l’opera subì dei danni, ma l’artista non volle ripararla, dimostrando di accettare, complice il caso, la completa riassunzione-integrazione nella stessa del suo carattere inerziale di “cosa”.
Ma cos’è, più di ogni altro fattore scientifico, che inequivocabilmente determina la verosimile incompiutezza di un’opera? Il fattore “tempo”.
Ispirato dal tempo che passa, mutando le tracce dell’esistenza d’ogni cosa e d’ogni vita, Paolo De Cuarto ha incentrato la sua arte sul concetto di “recupero della memoria”, riesumando dalla dimenticanza i cosiddetti “ghost signs” e le vecchie pubblicità del Carosello, conscio del nesso inequivocabile tra l’orientamento futurista e consumista dell’umanità e le impronte lasciate dal tempo a narrare una evoluzione scandita da orologi irrefrenabili.
Egli stesso ha spesso dichiarato di aver trovato in Marcel Duchamp un maestro e un modello, almeno dal punto di vista ideologico; ed è per questo che infine è approdato al suo medesimo concetto di “bellezza del non- compiuto”, riuscendo ad esprimerlo visivamente, nella traccia pittorica che celebra “lo faccio domani”.
Qui leggiamo un nuovo manifesto per un nuovo Futurismo, un neo-futurismo del nostro momento storico, sospeso tra intento ludico e spessore filosofico. Ogni opera è ad oggi compiuta, ma incompiuta rispetto all’idea che l’ha ispirata ieri e incline alla trasformazione, per le variabili cui la sottoporrà il domani.
“Lo faccio domani” (giocosamente interpretato dalla donna in tinta rossa, che prende il sole beandosi del tempo a disposizione) riassume contemporaneamente due punti principali del Futurismo contemporaneo:
1) La fragilità del concetto di tempo, analizzato da un punto di vista umano. Il tempo futuro di fatto ci pare sempre più cospicuo di quello che viviamo nel presente e tendiamo a rimandare le attività al “domani”, come se intrinsecamente esso fosse una specie di guarigione ad ogni male, inclusa la mancanza di attenzione o di ispirazione. Questo concetto sancisce il legame con la velocità.
2) Il potere del tempo effettivo e la vena aurea che un artista riesce a trovare, smettendo di misurarlo, considerandolo essenzialmente come un prezioso assistente che aggiungerà a suo modo, apportando unicità, i propri vezzi.
IL MURO: L’OPERA INCOMPIUTA PER ECCELLENZA
Perché l’arte di Paolo De Cuarto può essere definita come la cornice ideale dentro cui si sviluppano le nuove forme – ed anche le nuove sfumature teoriche – del futurismo?
La risposta sta in una “cosa”, semplice e nuda: il muro.
In sé ogni muro è già un ritratto perennemente compiuto e incompiuto; ogni muro nasce integro, solido, spesso perfettamente intonacato, per poi mutare, sotto i colpi stridenti del tempo, delle variabili metereologiche, della casualità, dell’uomo.
Da sempre il muro è un oggetto di comunicazione, architettonica, ma anche visiva; i primi graffiti e poi via via nel tempo, tutte le forme di comunicazione pittorica, hanno scelto come foglio le pareti, i muri, le facciate degli edifici.
Esempio emblematico i ghost signs, le prime reclame realizzate su mattone, realizzate grazie all’aiuto di apposite mascherine.
Ma cos’è stato, a far divenire il muro l’emblema per eccellenza del futurismo e della perpetua mutazione?
La pubblicità.
Con l’avvento del manifesto, milioni di immagini hanno invaso i muri di tutto il mondo, accavallandosi continuamente, mescolandosi in una specie di danza celebrativa del consumismo e della promiscuità cromatica.
C’erano, in quei manifesti, i talenti artistici dei disegnatori, dei designers, dei pittori, chiamati in causa dalla filosofia del benessere, catapultati nella memoria collettiva italiana dalla televisione e dal Carosello.
Paolo De Cuarto ha compiuto una totale impresa di recupero, ha riportato in vita il muro e vi ha impresso le immagini di una volta, rispettando l’incompiutezza dell’opera, variabile e deteriorabile, trasformandolo, con i suoi collages artificiali e naturali, nella realizzazione tangibile dell’incompiuto michelangiolesco.
Il muro possiede già in sé, nelle sue crepe, nelle sue figure accavallate, nella sua perdita di candore, nei suoi stralci vaghi, tutto ciò che l’artista di questa società potrebbe rappresentare. Nei suoi silenzi racchiude tutto quello che di questa società si potrebbe lasciare al lavoro dell’immaginazione. Il muro è infinitamente mutabile e il tempo – se avesse voce – davanti alla sua tela, eternamente, potrebbe dire: “Lo faccio domani”. E non mentirebbe mai.
The “ideas” of Plato, one of the greatest philosophical currents of human history, started from the
assumption that all the existing things, perpetually mutate in a feverish process of perfectibility, eternally unfinished, because only the ideas as such are really perfect and fixed in hyperuranian, where the time component neither transforms nor mutates them.
Michelangelo wrote centuries ago:
«Non ha l’ottimo artista alcun concetto
ch’un marmo solo in sé non circoscriva
col suo soverchio, e solo a quello arriva
la mano ch’obbedisce all’intelletto»
“The talented artist has no concept beyond what a block of marble contains in its huge weight, only the hand that obeys the intellect can discover it”
These verses contain the grounds for his now famous concept of “unfinished.”
The genius of Michelangelo poured into marble blocks, which already contained the whole idea, perfect in a way that a human hand could not express, if not in the process of its becoming corporeal, that neo-Platonism that was not merely pessimistic, but rather that in my opinion it could already be called “futuristic”.
When Marcel Duchamp approached painting, he unknowingly retraced the inner restlessness of Michelangelo and reached virtually the same concept of “unfinished”, but expressed it with the knowledge that the works were “things”, in tremendous and continuous transformation, even accidental. He wrote, speaking of Futurism, that it had been “impressionism of the mechanical world” and added:
“I was interested in ideas, not only the visual products.” This was the moment - in my opinion – in which the true futurist, read in a purely ideological and philosophical sense, found his consecration: namely, the consciousness that the works, inspired by the ideas, nevertheless get caught in forms of matter, so can be regarded as “things”, in the immediate sense of the term, and as such remain the perpetual mercy of time, eternally unfinished due to certain variables.
And it’s “The Large Glass” that Duchamp left unfinished in 1923, a work that contains all his past and future art, which has been called the most fascinating, complex and amenable to a multitude of interpretations, of the entire story of contemporary art. An emblematic episode: during transportation the work was damaged, but the artist did not want to fix it, showing that he accepted, aided by an accident, the full reinstatement-integration of its inertial character of “thing”.
But what is it, more than any other scientific factor, which unequivocally determines the probable incompleteness of a work? The “time” factor.
Inspired by the passage of time, changing the traces of the existence of everything and every life, Paolo de Cuarto has focused his art on the concept of “recovery of memory”, resurrecting from oblivion so-called “ghost signs” and the old “Carosello” advertising, aware of the unequivocal link
between the futuristic and consumerist orientation of humanity and the scars inflicted by time to narrate an evolution marked by uncontrollable clocks.
Paolo de Cuarto has often said that he sees a master and a model in Marcel Duchamp, at least from the ideological point of view; which is why he finally attained Duchamp’s concept of “beauty of the unfinished”, managing to express it visually, in the pictorial trace of paintings that celebrate the notion of “I do it tomorrow”.
Here we read a new manifesto for a new Futurism, a neo-futurism of our era, suspended between ludic intent and philosophical depth. Each work is finished for today, but it is also incomplete related to the idea that inspired it yesterday, and prone to transformation, in regard to variables which the future will bring up.
“I do it tomorrow” (playfully interpreted by the woman in red dye, who sunbathes enjoyng her free time) summarizes simultaneously two main points of contemporary Futurism:
1) The fragility of the concept of time, analyzed from a human point of view. The future in fact comes across as more conspicuous than what we live in the present, which is why we tend to postpone activities to “tomorrow”, as if it were some kind of inherently healing of all evil, including the lack of attention or inspiration. This concept establishes the link with the notion of speed.
2) The power of the actual time, and the golden vein that an artist is capable of finding, by ceasing to measure it, considering it primarily as a valuable assistant who will add in his own way, bringing uniqueness, their mannerisms.
THE WALL: THE ULTIMATE UNFINISHED WORK
Why the art of Paolo de Cuarto can be defined as the ideal scenario in which they develop new forms - and also the new theoretical shades – of Futurism? The answer lies in a “thing”, pure and simple: the wall.
Each wall itself is already an accomplished portrait, and perpetually unfinished; each wall is born intact, solid, often perfectly plastered, then changes under the claws of time, the weather variables, the randomness, and the interference of mankind. The wall is always been a communication object, visual and architectural; since the first graffiti, and then gradually over time; all forms of pictorial communication have chosen walls and building facades as their canvases of choice.
An emblematic example is provided by ghost signs, the first advertisements made on bricks, built with the help of special masks.
But what was it about walls that turned them into the ultimate symbol of Futurism and perpetual mutation?
Advertising.
With the advent of the poster, millions of images have invaded the walls of the world, constantly overlapping, mixing in a sort of celebration dance of consumerism and chromatic promiscuity.
There were, in those posters, the artistic talents of designers, stylists, painters, summoned by the philosophy of social wellbeing, thrown in the collective memory of the Italian television and the “Carosello”.
Paolo de Cuarto has made a full recovery firm, has revived the wall and inscribed there images of long gone times, respecting the unfinished work, variable and perishable, transforming it, with his collages, both artificial and natural, in tangible realization of the unfinished Michelangelo.The wall has in itself, in its cracks, in its overlapping figures, in its loss of innocence, in its vague excerpts, all that the artist of our society could embody. In its silence, a wall encompasses everything that in our society can be left to imagine. The wall is infinitely mutable and time - if it could speak - in front of its canvas could forever repeat: “I do it tomorrow.” It would be telling the truth.